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domenica 6 febbraio 2011

L'Orlando furioso - Canto 19 bis

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Canto 19, ottave 100-136

Orlando insegue un cavallo pagano, cavalca fino ad una radura ma avrà una spiacevole sorpresa. Era arrivato nel posto in cui Angelica e Medoro si godevano la vita e intrecciavano i loro nomi. Dalla descrizione del "locus amaenus" si precipita nella rivelazione per Orlando di ciò che è successo; Orlando però si sforza di non crederci inventandosi delle scuse per non cancellarsi la speranza; ma il sospetto si infittisce. Arriva ad una grotta dove Medoro ha scritto una piccola poesia e qui Orlando riesce a tradurla dall'arabo (in passato gli fu utile, ma non ora) senza riuscire a trovare nuove spiegazioni; era rimasto pietrificato, come il sasso che aveva di fronte. Poi, ritorna in sé, e cerca nuove spiegazioni; va verso il più vicino villaggio e va a finire nella casa del pastore. Vede sulle pareti i nomi e il pastore, vedendolo triste, gli racconta la felice storia di Angelica e Medoro e gli fa vedere il bracciale regalato da Orlando ad Angelica. Questo è il colpo definitivo e (quasi alla Fantozzi) si mette da solo a soffrire; scappa dalla casa (è notte) e si mette ad urlare e piangere. I suoi sospiri sono provocati dal fuoco che ha dentro (alimentato dal battere delle ali d'Amore). Lui dice di non essere più se stesso; all'alba finisce nella grotta e incomincia con la spada a distruggere tutto intorno; poi butta tutto sulla fonte che diventa oscura. Rimane tre giorni immobile e poi si straccia i vestiti da cavaliere (per non essere più cavaliere). Vista la sua forza incomincia a sradicare gli alberi nei dintorni.


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