La poesia viene vista come un abbellimento della realtà: dal punto di vista filosofico è un di troppo, un qualcosa di semplicemente inutile. Epicuro stesso afferma che la poesia ha caratteri di dipendenza dalle Muse; i poeti o sono modesti e scrivono per passatempo altrimenti, se portano gli uomini fuori dalla realtà, sono da condannare. Lucrezio è in una posizione ambigua (grande poeta ma filosofo materialista). Il finale del primo libro è una giustificazione del suo operato che viene ripresa all'inizio del quarto libro.
Il dolce farmaco (libro 1, vv 927-950)
"Mi piace l'idea di raggiungere delle fonti vergini e abbeverarmi "(fare una poesia che nessuno mai fatto)" e raccogliere fiori nuovi e dopo richiedere per il mio capo una corona di grande importanza della quale prima le Muse non hanno dato a nessun altro; primo perché mi occupo di argomenti elevati e mi sforzo di sciogliere l'animo dagli stretti nodi della religione, e poiché su un argomento così difficile scrivo dei Carmina tanto luminosi rivestendoli della bellezza delle Muse. Tutto questo sembra non sia privo di motivazioni ma così come i medici quando cercano di dare ai bambini l'amara medicina dell'Assenzio, prima spargono il bordo del bicchiere con il dolce miele, affinché la bevuta dei bambini sia raggirata fino alle labbra, e poi possa bere fino in fondo l'amaro liquido dell'Assenzio e l'età dei bambini sia raggirata ma non ingannata, affinché possa guarire, così ora io poiché questa dottrina appare triste da quelli che non l'affrontano e poiché il popolo si ritrae da ciò, ho voluto per te" (Gaio Memmio) "esporre la nostra opera con il soave linguaggio delle Muse e quasi spalmare le parole con il miele delle Muse, per cercare se per caso io possa portare il tuo animo in tale ragione con i nostri versi, mentre vedi profondamente da che cosa è realizzata tutta la natura delle cose."
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