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venerdì 21 ottobre 2011

Introduzione ad Andrea Zanzotto: Filò

Andrea Zanzotto
Nel primo periodo è influenzato dalle principali avanguardie; dopo gli anni '50 compie un'approfondita ricerca sul linguaggio. In questo periodo è molto influenzato da uno psicologo deviato francese Jacques Lacan che collega il linguaggio all'inconscio. Negli anni '70 scrive una trilogia (Il galateo in bosco, Fosfeni, Idioma) per poi fermarsi fino agli anni '90 dove riprende l'aspetto del paesaggio devastato.

Filò
Nasce da una richiesta di Fellini per un film su Casanova. Doveva sceneggiare la prima scena in cui veniva quasi deificata una colossale testa di donna nel canale grande e in un'altra scena un passaggio con una gigantessa. Zanzotto scrive dei testi in dialetto veneziano (inventato); questo lavoro risveglia la sua passione per il dialetto, soprattutto per quello del Piave.
Il cinema ci crea un immaginario, uno artificiale; riempie il cervello di sogni non naturali, ce ne dà di plastica; nelle sue moviole ci condiziona. Ogni tanto però il cinema sembra un fiato di Dei, anche se bastardo; coloro che riescono a fare questo cinema sono molto pochi. Fellini è uno di questi e quando ha invitato Zanzotto, quest'ultimo ha riscoperto l'ardore del suo antico parlare; le scene presentategli da Fellini sono state rivelatrici. Sente una certa paura a parlare in dialetto perché sua lingua materna, sembra quasi timoroso. La terza parte inizia con un riferimento al terremoto in Friuli; si chiede cosa abbia la terra, aveva già sentito piccole scosse ma erano un segno della vita della terra. Se veniva di notte quasi mai la terra aveva assassinato gli uomini; ma ora non è più così. La forza che nel trevigiano muove appena, distrugge e schiaccia nel friulano. Zanzotto passa ad un riferimento con la ginestra di Leopardi: la natura fa ciò che deve succedere; le linee di forza sono in Zanzotto le "striche de forzha". La natura ogni tanto ci distrugge ma il più delle volte ci aiuta nella nostra vita. Gli uomini si combattono mentre dovrebbero unirsi e combattere la natura con amore, è una madre da maledire e amare. Abbiamo distrutto la terra per l'avidità di pochi; il Vajont ha fatto più morti del terremoto del Friuli. Viene ripresa l'immagine iniziale della grande testa (nella scena pensata da Fellini). L'umanità dovrebbe aiutarsi almeno un po'. Questo testo può essere paragonato ai sepolcri di Foscolo (con la finale esaltazione della poesia). Parla del dialetto che ormai "l'è desmenteghà" (dimenticato), gli uomini che lo parlavano non ci sono più; lo si sente parlare solo da giuste bocche (coloro che lo parlano al mercato), il poeta si è allontanato troppo dalla sua antica lingua pur stando "qua" (nel trevigiano). Il dialetto dovrà resistere, deve resistere; gli uccelli che imparano il dialetto a forza di sentirlo sono in paragone con i passeri del Passero solitario di Leopardi.

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